«La presentazione dei dati sulla Zes unica effettuata dalla presidente Giorgia Meloni ha evidenziato un aumento del 49% degli investimenti nella Zes unica rispetto agli investimenti delle otto Zes previgenti. Ma il paragone tra le due fasi non ha alcun valore poiché la Zes unica ha un territorio 500 volte superiore a quello delle previgenti otto Zes derivandone che l’aumento degli investimenti del solo 49% dimostra la sproporzione e l’ingiustificato trionfalismo della presentazione stessa». E’ il commento del presidente Michele Emiliano al termine della riunione, ieri sera, alla quale ha partecipato in video collegamento, della Cabina di regia della Zona economica speciale convocata nella Sala del Consiglio dei ministri di Palazzo Chigi dal premier Giorgia Meloni.
«La Zes Unica – ha detto durante il suo intervento – ha un amplissimo territorio interessato, ma a ciò non è corrisposto un adeguato stanziamento di risorse. Ricordiamo, infatti, che le risorse a disposizione sono state pari a 1,67 miliardi di euro per il 2024, incrementate a 3,2 miliardi totali in corso d’anno, e a 1,6 miliardi per il 2025, incrementate a 2,2 miliardi totali mediante approvazione di un emendamento in legge di bilancio. Alla scadenza dei termini di prenotazione del credito, 12 luglio 2024, l’ammontare di crediti richiesti è risultato molto alto: pari a 9,45 miliardi di euro in termini di crediti e poco meno di 20 miliardi in termini di potenziali investimenti. Tuttavia la dotazione prevista a quella data, era solo, come detto, 1,67 miliardi. Per questo, come noto, l’Agenzia delle Entrate è stata costretta a ridimensionare la percentuale del credito effettivamente fruibile al 17,66%».
«Secondo i dati definitivi pubblicati il 13 dicembre 2024 – ha spiegato Emiliano – solo 6.885 imprese hanno concluso l’investimento previsto: 2,55 miliardi di euro in termini di crediti e circa 5 miliardi in termini di investimenti. Solo così a quelle 6.885 imprese è stato possibile riconoscere la massima percentuale di credito. Tuttavia, ciò che non salta immediatamente all’occhio – ha continuato – è che tre investimenti su quattro non sono stati portati a termine o, forse, nemmeno avviati. Forse, dobbiamo interrogarci sui motivi per cui le imprese hanno rinunciato a 15 miliardi di investimenti? È indubbio che vi siano aspetti problematici nel funzionamento del meccanismo. Il primo riguarda sicuramente l’incertezza dell’effettiva percentuale di credito fruibile. La fortissima riduzione comunicata dall’Agenzia ha sicuramente dissuaso la maggior parte degli imprenditori dall’andare avanti. E questo aspetto – ha evidenziato – è strettamente connesso con le risorse a disposizione: se vogliamo rivolgerci a una platea così vasta ed eterogenea, sono sufficienti 2-3 miliardi di euro per incentivare i progetti più impattanti sull’economia del territorio? Il secondo ha a che fare con i tempi brevissimi concessi per la conclusione degli investimenti, che sono assolutamente incompatibili con quelli di una grande impresa che prospetta un investimento di decine di milioni di euro e deve avere il tempo per acquistare, realizzare, costruire, rendicontare e certificare. Il terzo – ha ricordato Emiliano – riguarda altri ostacoli burocratici cui non sono state date sufficienti spiegazioni. A titolo d’esempio, l’incertezza sulla possibilità di rendicontare le fatture estere, oppure rispetto all’incidenza delle spese relative agli immobili. Questi aspetti hanno disincentivato grossa parte dei soggetti richiedenti e, soprattutto, le imprese di grandi. Al contrario, sono state le aziende più piccole di piccola dimensione, e in genere gli investimenti più contenuti – ha sostenuto – a trarre vantaggio da queste regole».
«Ma questo strumento – ha evidenziato Emiliano nel suo intervento – era stato pensato per incentivare tendenzialmente i grandi progetti di investimento, gli insediamenti produttivi di una certa rilevanza, la creazione di intere filiere del valore. Invece, ci troviamo ad osservare gli stessi identici risultati del credito di imposta per gli investimenti effettuati nel Mezzogiorno, in vigore dal 2016 al 2023. Se volevamo incentivare le Pmi per investimenti di piccola portata, potevamo, allora, aumentare la dotazione di quel credito, che nel 2023 equivaleva a quasi 1,5 miliardi, e non perdere ulteriore tempo. Nelle prossime settimane, poi, avremo a disposizione i dati ufficiali sul credito di imposta previsto per le otto Zes previgenti. A quel punto potremo fare un vero confronto – ha proseguito Emiliano – tra i risultati degli incentivi previgenti e quelli in vigore. Con le risorse stanziate per il 2025, 2,2 miliardi inferiori ai 3,2 miliardi per il 2024, e tenuta ferma la normativa vigente, il credito di imposta della Zes Unica potrà riuscire nell’intento di favorire progetti di investimento tali da generare lo sviluppo auspicato. Perché se volessimo davvero raggiungere quegli obiettivi – ha concluso – dovremmo come minimo estendere le tempistiche e prevedere un sistema che dia certezze agli imprenditori sulla percentuale di credito effettivamente fruibile, oltre a stanziare tutte le risorse necessarie».
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