Leuci ha recuperato e dato rilievo alla storia della Fornarina –

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Karussell è una associazione culturale non profit che opera in quel lembo delle Marche che va dal mare di Porto San Giorgio alla città di Fermo, abbarbicata sul Monte Sabulo. Per ospitare i progetti degli artisti invitati su questo territorio, si trovano ogni volta spazi diversi, spesso si tratta di luoghi non accessibili solitamente restituiti alla fruizione pubblica. 

La mostra «Il vero riconosce il vero» di Lucia Leuci è allestita fino al 31 gennaio 2025 nel Palazzo dei Priori di Fermo, in una sala interrata, dove secoli fa sorgeva la chiesa di San Martino e che negli ultimi anni era invece stata utilizzata dal Comune come un magazzino.

Lucia Leuci è un’artista originaria di Bisceglie (1977), in Puglia, che da molti anni vive a Milano. La sua ricerca artistica è versatile, lavorando in maniera libera e polimaterica con il disegno e con la scultura, e affinando tecniche sempre in stretta relazione con un’attenta osservazione della realtà circostante, sia individuale sia collettiva. Il pane come archetipo, sostentamento e rituale quotidiano, è sempre stato d’ispirazione per Leuci e ritorna in una delle opere presentate nella sua mostra personale a Fermo.

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Dopo diversi viaggi verso le Marche, sopralluoghi nella città di Fermo e approfondimenti storici appresi grazie al serrato dialogo prima con la curatrice e cuore pulsante di Karussell, Matilde Galletti, e poi con maestranze locali coinvolte nella produzione, Leuci ha estrapolato un episodio poco conosciuto dalla storia locale legato alla guerra del 1377 tra le città di Fermo e San Ginesio. Da quell’ispirazione, Leuci ha recuperato e dato rilievo alla storia della Fornarina, che, trovandosi di notte al lavoro al forno e accorgendosi dell’arrivo delle truppe nemiche, aveva, per prima, dato l’allarme. Le molte opere in mostra creano una vivace stratificazione e i loro titoli ci trasportano nella narrazione storica intrecciata alla sensibilità artistica di Leuci, che nel raffigurare le sfaccettature della Fornarina mescola dettagli a volte di bambina, di donna e di madre.

C’è una serie di tre disegni incorniciati, realizzati con acrilico nero su carta, in cui sono raffigurati vasi di fiori con evidenti e giocosi seni che protendono dal recipiente, che fanno pensare ai corpi scolpiti da Louise Bourgeois. Ai loro piedi, su una mensola, giace un ago da cucito con un filo attaccato colore ottone, che va fuso insieme al metallo per ottenere l’ago. Sembra un’ambientazione da fiaba, ma una in cui la protagonista non è definita dalle relazioni sentimentali con altri, ma piuttosto con la propria consapevolezza. Nel testo scritto dall’artista e disponibile in mostra coesistono infatti una citazione della critica d’arte femminista Carla Lonzi e strofe di una canzone rap «Ciao Proprio» del 2010, che fornisce il titolo alla mostra. L’invito riporta l’immagine in bianco e nero di un cuscino ricamato con motivi floreali che pare fuori dal tempo, ma che in realtà l’artista ha visto sul divano di una casa signorile a Fermo. Lo si ritrova in mostra trasformato in due opere colorate realizzate con ferro, resina, pigmenti, alluminio, ottone e rame, come fossero frammenti di una vetrata istoriata, questa volta declinata però da un punto di vista laico e popolare.

Delle tre installazioni in mostra dedicate alle vicende della Fornarina, spicca «Paesaggio con Fornarina in lotta con sé stessa», nella quale l’artista trasforma una pozzanghera osservata a Fermo nel fondale della battaglia e su due cavalli bianchi (recuperati da mercatini dell’antiquariato) si sfidano con lance due versioni della Fornarina a grandezza Barbie. Osservandole meglio, si notano somiglianze con Lucia Leuci, in particolare nei capelli che hanno la stessa lunghezza e tono di quelli dell’artista, che realizza anche gli abiti. I bottoni sono da lei applicati con destrezza ereditata dalla tradizione matrilineare di sartoria. La lista dei materiali da lei impiegati comprende ferro, resina, pigmenti, ceramica, tessuto, plastica, colori acrilici, capelli, fard, alluminio, quarzi, perle, madreperla, pietre semi preziose, fossili e neon. Sembra di leggere gli ingredienti di una ricetta magica in cui si uniscono mondi diversi e tutto ha lo stesso valore, sconvolgendo le categorie e i significati univoci.

Nel lavoro «Fornarina che corre a dare l’allarme», la donna viene rappresentata emancipata mentre corre libera e nuda, i capezzoli sono giocosamente sostituiti da lamponi e fichi stilizzati in resina. A breve distanza, sempre appesi al muro, ci sono degli orecchini che si sono staccati per la corsa. Il volto è una stilizzazione geometrica che ricorda le maschere che i cubisti avevano desunto dall’arte africana e che sono interpretabili come un’allegoria di ogni donna, trasfigurata nella Fornarina.

Appositamente per la mostra, sono stati anche realizzati coloratissimi neon con linee sinuose che si sposano alle tarsie colorate, derivate dall’osservazione delle pavimentazioni di Fermo. Qui si ritrovano anche due sculture già viste in una precedente mostra a Milano che hanno la forma di reliquiari pop, con una mano mozzata illuminata con led fucsia e viola, che ricorda un po’ Mercoledì Addams o la sposa fantasma di Tim Burton. Sul polsino della camicia al di sotto del palmo proteso in alto, come novella martire, ci sono chiodi, conchiglie, madreperla, cuciti con attenzione da Lucia Leuci mescolando sacro e profano, in una contaminazione gioiosa di fonti e materiali. Come scrive Paulo Coelho in Undici minuti: «In ogni istante della nostra vita abbiamo un piede nella favola e l’altro nell’abisso».



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