Firenze, 25 dicembre 2024 – Monsignor Gherardo Gambelli ha celebrato la messa di Natale alla comunità delle Piagge retta da don Alessandro Santoro, che dell’arcivescovo è stato compagno di seminario. Adulti e bambini hanno accolto con entusiasmo il vescovo in una chiesa gremita dove non è mancata la presenza anche della sindaca Sara Funaro e del presidente della Regione Eugenio Giani. Nei giorni scorsi l’arcivescovo aveva spiegato la scelta delle Piagge come “segno di attenzione alle situazioni sociali più complesse e disagiate”, per esprimere “vicinanza a coloro che si impegnano nei confronti delle persone più povere” e per “far sapere loro che sono sempre al centro delle nostre attenzioni”.
“Desidero ringraziare don Alessandro” Santoro “e tutti i membri della comunità delle Piagge per il loro impegno nei confronti dei poveri e degli esclusi, perché con il loro esempio e le loro parole ci ricordano la verità del Vangelo: il più grande è colui che si fa l’ultimo e il servo di tutti. Saremo tutti giudicati sulle opere di misericordia (‘Ho avuto fame, ho avuto sete, ero nudo, straniero, malato, in carcere’)” ha detto l’arcivescovo di Firenze, monsignor Gherardo nell’omelia pronunciata stamani alla periferia di Firenze.
A presiedere invece la celebrazione della santa Messa in Duomo stamani è stato il cardinale Giuseppe Betori. Nella sua omelia monsignor Gambelli ha anche parlato del Giubileo “iniziato ieri notte a Roma e che apriremo solennemente a livello diocesano domenica prossima”: “E’ una bella occasione – ha detto – per lasciarci trasformare dalla grazia di Dio. Non c’è libertà né uguaglianza senza fraternità, per questo uno degli aspetti fondamentali del Giubileo biblico era la remissione dei debiti. Ognuno di noi ha un debito, non solo di natura economica, da rimettere a qualcuno. Chi ha subito un torto, certamente deve essere tutelato nella sua ricerca di giustizia, ma bisogna imparare alla fine a saper perdonare, se vogliamo davvero costruire una società solida e sicura”. Dopo la messa il pranzo di Natale organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio a Spazio Reale a San Donnino. Il cardinale Betori andrà invece al pranzo di Sant’Egidio nella Basilica di San Lorenzo.
Ieri sera a mezzanotte invece la messa di Natale nella cattedrale di Santa Maria del Fiore. “Destano preoccupazione tutte quelle situazioni in cui il futuro sembra compromesso o comunque gravemente a rischio. Se non ci sono interventi concertati ed efficaci per accompagnare la fase di crisi che coinvolge decine di aziende e per disegnare nuovi scenari, come appare necessario per il comparto della pelletteria e dell’intera filiera della moda, nei prossimi mesi aziende e lavoratori saranno messi a dura prova. Sono particolarmente vicino a tutte le persone che hanno perso il lavoro, sono state licenziate, sono senza stipendio e anche in questi giorni vivono il grande timore di un domani incerto per loro e per le loro famiglie”, ha detto l’arcivescovo di Firenze nell’omelia.
Gambelli ha poi parlato dei “due tragici incidenti che hanno ferito la città metropolitana di Firenze, quello nel cantiere Esselunga del febbraio scorso e quello al deposito Eni di Calenzano di pochi giorni fa: “Ci dicono che non possiamo mai abbassare la guardia quando si tratta della sicurezza del lavoro: è necessaria una diffusa mobilitazione delle coscienze e una assunzione di responsabilità collettiva”.
“I tempi oscuri che caratterizzano questo terzo Natale consecutivo in contesto di guerra ci interrogano profondamente” ha detto Gambelli che ha poi aggiunto: “Come sarebbe bello se quel ripudio della guerra di cui ci parla l’articolo 11 della nostra Costituzione italiana si traducesse in gesti concreti per eliminare le ingiustizie nel mondo che sono sempre all’origine di contese e violenza”.
“Gli incidenti sul lavoro, il problema abitativo, la disoccupazione, la situazione del carcere – ha quindi proseguito – provocano in noi una giusta indignazione, ma poi ci accorgiamo che le nostre risposte a questi problemi sono spesso deboli e incerte. La montagna di tenerezza è quel dono di cui abbiamo bisogno di essere avvolti prima di tutto noi, per essere liberati dai nostri idoli, particolarmente quello che ci fa credere che la felicità consista nell’avere piuttosto che nell’essere. Solo allora potremo davvero ripudiare la guerra, rinnegare l’empietà e collaborare efficacemente alla trasformazione del mondo”.
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